Descrizione del progetto

Nel corso degli ultimi dieci secoli si è sviluppata in Puglia una vera e propria civiltà dell’olio e dell’olivo, che ha generato un paesaggio agrario pluri-stratificato, considerato un patrimonio unico nel panorama dei paesaggi agrari mondiali.

Il progetto ELAION ha come obiettivo quello di integrare i dati relativi alla presenza e sfruttamento dell’olivo in Puglia dalla Preistoria al Medioevo per ricostruirne la storia di questa piante che rappresenta uno dei capisaldi dell’economia pugliese.

L’ingente mole di dati, che include oltre cento riferimenti, proviene prevalentemente dai siti archeologici, dove sono stati rinvenuti resti archeobotanici, quali noccioli e legno di olivo, e resti archeologici, come macine olearie e fornaci per la produzione di anfore per il trasporto dell’olio d’oliva.

Ulteriori informazioni sono contenute nelle sequenze polliniche provenienti da depositi naturali, dove il polline dell’olivo si conserva per migliaia di anni, e da documenti scritti che trattano di assegnazione e donazioni di oliveti.

 

 

Dati significativi

 

Lo studio condotto nell’ambito del progetto ELAION ha dimostrato che l’olivo selvatico era presente in Puglia a partire dal Mesolitico (VI millennio a.C.); tuttavia i primi esemplari domesticati si datano all'Età del Bronzo Medio (XVI-XIII secolo a.C.), come indicato da i ritrovamenti di noccioli d’olivo presso il sito di Piazza Palmieri-Monopoli (Ba).

Tra la fine dell’Età del Ferro e l’Età Arcaica (VIII-V secolo a.C.), l’olivicoltura conobbe una grande espansione, grazie anche all'intensificarsi degli scambi materiali e delle interazioni culturali tra popolazioni locali e comunità greche, come quella stanziata nella colonia di Taranto. Alla fine di questo periodo, si data la più antica installazione per l’estrazione dell’olio d’oliva, rinvenuta ad Oliovitolo, nel territorio di Grottaglie (TA).

La conquista romana incentivò la produzione di olio d'oliva pugliese, che a partire dall’Eta’ Repubblicana (II-I sec. a.C.) cominciò ad essere commercializzato su scale mediterranea. Il successo dell’olio d’oliva pugliese è testimoniato dalla diffusione delle anfore olearie del tipo di quelle prodotte nelle fornaci di Giancola-Brindisi e Felline-Ugento (Lecce).

A partire dall’Età Imperiale, l’annessione di Provincie a vocazione olivicola, come la Beozia, portarono alla crisi del settore olivicolo in Puglia. A seguito della riconversione agricola che interessò la Puglia nella Tarda Antichità (IV-V secolo d.C.) e, successivamente, alla crisi del comparto agricolo dovuta alle vicende belliche che interessarono la regione tra VI e IX secolo d.C., l’olivicoltura assunse un ruolo minore per gran parte del I millennio d.C.

Con il consolidarsi del poter bizantino in Puglia nel X secolo d.C., l’olivo riprese in parte il suo ruolo nell’economia locale, sebbene le fonti documentarie lo presentino come una coltivazione secondaria rispetto a quella della vite.

Sotto i sovrani normanni le menzioni relative all’olivo si moltiplicano nei documenti amministrativi, sintomo di una maggiore diffusione della pianta. Indicativo è il fatto che alcuni oliveti fossero inclusi tra i beni donati da Roberto il Guiscardo alle autorità ecclesiastiche all’indomani della presa di Taranto, nel 1080.

Con l’avvento della dinastia sveva l'olivo divenne la coltivazione dominante, soprattutto nelle zone calcareee della Puglia centrale e meridionale. L’olio prodotto in queste aree divenne un bene prezioso commercializzato, attraverso i porti di Brindisi e Bari, ad Akko, Costantinopoli ed Alessandria.

 

Risultati della ricerca

 

Vedi l'articolo: Caracuta V (2020) Olive growing in Puglia (southeastern Italy): a review of the evidence from the Mesolithic to the Middle Ages. Veg Hist Archaeobot 29: 595-620. doi: 10.1007/s00334-019-00765-y

 

Elaion alla Notte Europea dei Ricercatori

Lecce, 28 settembre 2018

 

Workshop "Olivo e Olio d'olivo in Puglia"

Lecce, 10 dicembre 2018

 Scarica la presentazione del Progetto nell'ambito del Workshop

Progetto


 

Carta dei campionamenti eseguiti

All'interno della carta sono indicati tutti i siti in cui sono stati eseguiti i campionamenti

Leggenda delle abbreviazioni:

A.I.: Archaeological Installation/Installazione Archeologica   Arch: Archaic/Età Arcaica   B.A.: Bronze Age/Età del Bronzo   Byz.: Bizantine/Età Bizantina   CH.: Charcoal/Carbone   Early Bro. Age: Early Bronze Age/ Bonzo Antico   Early Neo: Early Neolithic/ Neolitico Antico   Final Neo: Final Neolithic/ Neolitico Finale   Hel.: Hellenistic/ Età Ellenistica   I. A.: Iron Age/Età del Ferro   Imp.: Imperial/Età Imperiale   Late Rom.: Late Roman/ Tardo Antico   Mes: Mesolithic/Mesolitico   Middle Bro. Age: Middle Bronze Age/Bronzo Medio   Middle Neo: Middle Neolithic/Neolitico Medio   Nor: Norman/Età Normanna   O.S.: Olive Stone/Nocciolo d’Olivo   P.A.C.: Pollen Archaeological Core/Carotaggio pollinico in sedimento archeologico   Pal: Palaeolithic/Paleolitico   P.N.C.: Pollen Natural Core /Carotaggio pollinico in sedimento naturale   Swa: Swabian/Età Sveva   W.D.: Written Document

Vedi l'articolo: Caracuta V (2020) Olive growing in Puglia (southeastern Italy): a review of the evidence from the Mesolithic to the Middle Ages. Veg Hist Archaeobot 29: 595-620. doi: 10.1007/s00334-019-00765-y

L'Olivo in Puglia



Dal Mesolitico all’Eneolitico - dal VII al IV millennio a.C.

La comparsa dell'olivo in Puglia risale al periodo Mesolitico/Neolitico Antico (fine del VII millennio a.C.) e si basa sui ritrovamenti di polline e il carbone provenienti dal sito archeologico di Terragne (BR) (Fiorentino 1995), attestazioni successive si rinvengono nel sito di Scamuso (BA), si tratta di polline di olivo rinvenuto nei livelli del Neolitico Antico (Renault-Miskovsky, Bui-Thi-Mai 1997).
I primi resti di noccioli d’olivo si ritrovano nel sito di Carpignano Salentino (LE) e datano al Neolitico Medio (Primavera 2008). Resti di carbone di olivo sono stati rinvenuti nel Neolitico Finale, nel Pulo di Molfetta (BA) (Primavera e Fiorentino 2011).


Ingrandimento di un nocciolo di oliva e di un campione di polline di olivo

L’olivo continua ad essere una pianta apprezzata anche durante l’Eneolitico, periodo al quale si datano i resti di legno d’olivo utilizzati nella pira funeraria scoperta nel tumulo di pietra presso Macchia Don Cesare (Aprile e Fiorentino 2018).
Dalla combinazione dei dati archeobotanici ed antracologici, si evince che la presenza dell’olivo tra VII e IV millennio è limitata alla fascia costiera, ad un'altitudine compresa tra 0 e 130 m slm. Questa fascia, caratterizzata da condizioni climatiche favorevoli alla crescita delle piante della macchia mediterranea, rappresentava l’habitat ideale per l’olivo selvatico.
L’assenza di resti di olivo nei siti Neolitici dell’entroterra fa supporre che lo sfruttamento della pianta fosse limitato alla raccolta di legno e frutti da individui selvatici presenti in aree, come quella costiera, dove si le condizioni ambientali erano favorevoli allo sviluppo della pianta.



L'età del bronzo - dal XXI al XII secolo a.C.

I primi resti archeologici di ulivo ascrivibili a questa fase risalgono al II millennio a.C., mentre non abbiamo evidenze pertinenti al III millennio.
Cosi come osservato nel periodo Neolitico ed Eneolitico, le prove relative all'utilizzo dell'oliva provengono esclusivamente da siti costieri, come Coppa Nevigata (FG), Scoglio di Apani (BR) e Castello Angioino di Mola (BA) dove il carbone di olivo si trova in abbondanza (Fiorentino e D'Oronzo 2012, Primavera et al 2017, D'Oronzo e Fiorentino 2017).
Gli unici resti di noccioli d'oliva finora scoperti provengono dalla sepoltura del Bronzo Medio rinvenuta a Piazza Palmieri-Monopoli e mostrano somiglianze con varietà selvatiche e domestiche diffuse nel Mediterraneo occidentale (Terral 2004).
I resti rinvenuti a Piazza Palmieri sollevano la questione relativa ai primi tentativi di domesticazione dell’olivo in Puglia, che pur tuttavia non trova una risposta certa sulla base dei dati disponibili.
Durante l'Età del Bronzo, l'olivo risulta essere una specie comune tra quelle che si trovano nella macchia mediterranea che si estendeva lungo la costa della Puglia.
Lo sfruttamento sistematico dell’olivo selvatico ad opera delle popolazioni costiere potrebbe aver favorito la selezione di tratti utili (proto-domestici), come suggerito dai rinvenimenti di Piazza Palmieri, ma non sembra che il processo di domesticazione fosse completo nell’Età del Bronzo. Se lo fosse stato, resti di olivo si sarebbero dovuti ritrovare anche nei siti dell’entroterra, grazie all’azione dell’uomo di propagazione della pianta fuori dal suo habitat naturale (domesticazione), mentre questi si concentrano esclusivamente nella zona costiera.



L'età del ferro, arcaica, classica ed ellenistica- dall’VIII al II secolo a.C.

L’assenza di studi archeobotanici per il periodo compreso tra il XIII e il IX secolo è solo parzialmente compensata dai dati palinologici disponibili per il Lago Battaglia (FG) e il Lago Alimini (LE) dai quali si evince una riduzione della copertura arborea in favore di un incremento delle specie cerealicole.
La documentazione archeobotanica, disponibile solo a partire dall’VIII secolo, mostra la presenza dell’olivo al di fuori dell’areale di distribuzione naturale. Per la prima volta nella storia della regione, resti di legno d’olivo si rinvengono in un sito di moderata altitudine a 380 m slm, (vedi Castelluccio (BR) in D'Oronzo 2012),
Tra VIII e VI secolo le evidenze pertinenti all’olivo si moltiplicano, testimonianze se ne trovano nei siti archeologici di Via Perrella (LE), Cavallino (LE), Fondo Mbrufico e Fondo Casino (LE) e L'Amastuola (TA ) (Colaianni 2008b; Lentjes 2011).
Questi secoli sono connotati dall’intensificarsi dei contatti commerciali e culturali tra le comunità pugliesi e le genti greche, e dalla fondazione della colonia spartana di Taras, odierna Taranto, che potrebbe aver offerto nuove possibilità di mercato all’olio d’oliva pugliese.
L’olivo continua ad essere utilizzato anche nei secoli successivi, V-IV, periodo al quale si datano le evidenze rinvenute presso il sito di Castello d'Alceste (BR), e il sito cultuale di Monte Papalucio (BR) (D'Oronzo 2012, Ciaraldi 1997). La prima installazione per l'estrazione dell'olio d'oliva, rinvenuta a Oliovitolo (TA), è datata al V secolo (Alessio 2001).
Con il periodo ellenistico, seconda metà del IV-II secolo a.C., la coltivazione dell'olivo si diffonde in gran parte dell'Italia meridionale (Mercuri et al., 2013) e le prove archeobotaniche e palinologiche confermano il ruolo cardine dell'oliva nell'agro-economia pugliese.
Le evidenze disponibili provengono quasi esclusivamente dal Salento, dove gli archeologi identificano, rispetto al periodo precedente, una maggiore concentrazione degli abitati attorno ai grossi centri che svolgono un ruolo propulsivo nello sfruttamento agricolo (D'Andria 1989, Burges 2009). Alcuni archeologi associano il boom degli insediamenti urbani e rurali alla specializzazione agricola basata sulla coltivazione estensiva di vite e olivo (Yntema 1993, 2008).
Le evidenze archeobotaniche disponibili per il periodo compreso tra il IV e il II secolo a.C. mostrano che l'olivo è onnipresente in tutti i siti sottoposti ad indagine, ma è piuttosto difficile stimare l’estensione delle terre coltivate e più generalmente il suo ruolo nell'economia rurale.
I secoli III e II sono anche caratterizzati da un aumento del numero di impianti per l'estrazione di olio d'oliva, tra cui figurano Oliovitolo (TA), Monte Sannace (BA) e Botromagno (BA) (Alessio 2001, Ciancio 1989, Ciancio e Small 1990).
Rispetto alla Puglia meridionale, dove sono disponibili un numero maggiore di evidenze, l’area settentrionale è caratterizzata da un numero limitato di dati. Nello specifico, si tratta di resti di carbone di olivo nel sito di Monte Calvello (D’Oronzo et al. 2018) e di pollini nella sequenza pollinica del lago Battaglia che mostrano un costante aumento dei valori dell’olivo durante la seconda metà del I millennio a.C. (Caroli e Caldara 2006).



ll periodo romano - I secolo a.C. al VI secolo a.C.

Durante i primi anni dell'Impero, l'olio d'oliva pugliese veniva per lo più prodotto per l'esportazione; Varro si riferisce a Brindisi come uno dei principali porti per il commercio dell'olio d'oliva (Varr. Re Rust., 2, 6, 5). Il ruolo di Brindisi come nodo strategico per la commercializzazione dell'olio prodotto nel Salento è confermato dalla presenza di centri, come Giancola (BR), nelle vicinanze della città, per l'estrazione dell'olio e la produzione di anfore per la spedizione (per i dettagli vedi Palazzo 1994, Manacorda 1990).
I resti di un impianto per l'estrazione dell’olivo d’oliva rinvenuti a P.tta Castromediano (LE) (D'Andria 2004), e quelli pertinenti alla fornace per la produzione di anfore olearie a Felline (LE) (Pagliara 1968), confermano l'importanza del Salento come centro per la produzione e l'esportazione di olio d'oliva durante i primi secoli dell'impero romano. Altre testimonianze archeologiche sono disponibili per la provincia di Taranto, e rigardano le installazioni per l'estrazione dell'olio d'oliva a Oliovitolo, Loc. Pizzariello e Angiulli (Alessio 2001; Andreassi 2006).
Tra il I e il III d.C. secolo l'influenza romana si estende a tutto il bacino del Mediterraneo e nuovi mercati si aprono per soddisfare la crescente domanda di derrate alimentari destinate alla città di Roma (Panella e Ternia 2002). Come conseguenza di questa apertura, l’olio pugliese fatica a competere con l’olio prodotto in Spagna e in Africa Settentrionale, e gli storici sono propensi a ritenere che questo fenomeno abbia indotto alla riconversione di ampie porzioni di territorio alla produzione di cereali (Pani 1979). Segni di una possibile riconversione potrebbe leggersi nel record palinologico di Alimini e Battaglia. Tra II-III secolo d.C., il polline di oliva, e di altre specie arboree, si riduce mentre aumenta quello delle specie erbacee, un dato che potrebbe avvalorare la riconversione a favore della cerealicoltura (Di Rita e Magri 2009, Caroli e Caldara 2006).
I dati archeobotanici non permettono di avvalorare o confutare questo dato, poiché resti di ulivo sono onnipresenti nei siti archeologici per tutto il periodo romano cosi come lo sono le installazioni per l'estrazione di olio d'oliva. La stele rinvenuta ad Herdonia, relativa ad un gruppo di raffinatori di olive, dimostra l’importanza che questa coltura rivestiva in Puglia settentrionale ancora nel II secolo d.C. (Mommsen 1883).



Il medioevo VII al XIV secolo A.D.

Le informazioni disponibili sulla coltivazione dell'olivo in Puglia tra la tarda antichità e l'alto Medioevo sono relativamente scarse a causa degli sconvolgimenti storici (vedi guerra greco-gotica) che hanno colpito la regione tra il V e il VI secolo d.C. (De Robertis 1972).
La storiografia ci dice che nel corso del VII secolo d.C. l'influenza dei chierici cresce in modo esponenziale a causa della donazione di ampie porzioni di campagna e del sostegno longobardo alle abbazie beneventane, così che le diocesi rurali divengono la forza trainante dell'agricoltura locale (Martin 1993).
Per il periodo compreso tra il VII e il VIII secolo d.C., un documento amministrativo relativo al nord della Puglia, un'area sotto l'influenza longobarda, menziona la presenza di uliveti tra le proprietà dell'abbazia beneventana di Canosa (Federici 1926).
Le testimonianze provenienti dal Salento, roccaforte Bizantini, sono maggiori ed includono resti di ulivo dai siti archeologici di Apigliano (LE), in Loc. Scorpo (LE) e Paretone (TA), mentre il polline di olive si trova in abbondanza in Alimini (Arthur et al., 2010 Fiorentino, Grasso et al., 2012; Di Rita e Magri 2009).
Tra il IX e il X lo stato costante di conflitto tra Longobardi e Bizantini e le continue incursioni dei Saraceni sulle zone costiere della Puglia, portarono all’abbandono di vaste aree di territorio (Martin 1993), tuttavia alcuni oliveti sono ancora attivi a Trani, Barletta, Canosa, Lucera e Lesina, nelle aree sottoposte alla dominazione longobarda (Prologo 1877; Federici 1926; Leccisotti 1949, 1937).
La Puglia centrale è tra quelle aree che mostrano i primi segni di una ripresa economica grazie al ruolo di Bari come capitale della Provincia dell'Italia bizantina (Martin e Noyé 1989). Tra i documenti datati a questo periodo, la maggior parte menziona uliveti sulle colline calcaree di Murgie, intorno a Bari, Genna, Monopoli, Polignano, Conversano e le abbazie benedettine di Trani, Canosa e Conversano (Nitti 1900, Coniglio 1975, Federici 1926). Uliveti persistono ancora nel X secolo attorno a Lesina, sul promontorio del Gargano (Leccisotti 1937). Per il Salento, ci sono menzioni di oliveti nelle campagne di Taranto (Robinson 1929) e Nardò (Pastore 1964).
Il controllo bizantino termina nel 1071 d.C. quando i Normanni conquistano Bari ed estendono il proprio su tutta la Puglia. Al momento della conquista, nel 1070, la cronaca della Chiesa di San Nicola riporta di incursioni perpetrate dai Normanni che saccheggiavano, tra le altre cose, anche l’olio d'oliva, dalle campagne intorno a Bari (Nitti 1990, n.44, p. 87).
I nuovi regnanti si impegnano sin da subito nella coltivazione dell'olivo come dimostra un episodio accaduto all'indomani della conquista di Taranto, quando Roberto Guiscardo concede a un monastero locale il diritto di sfruttare gli uliveti che erano diventati la sua tenuta. Un privilegio rinnovato da suo figlio, Boemondo, nel 1090 (Leone Marsicano e Pietro Diacono Chronica III, 44, p.421 e IV, 10, P. 475).
I documenti ci dicono che fino al XII secolo, che l'ulivo è coltivato per lo più in piccoli appezzamenti di terreno ed è spesso associato ad altri tipi di alberi, ma sembra che a partire dal XII secolo l'olivicoltura si specializzi e gli appezzamenti arrivino a contare fino trecento olivi (Licinio 1983).
Sotto gli Svevi, l'olio d'oliva diviene tra le imprese agricole di maggior successo ed inizia ad essere massivamente esportato all’estero. La corona comincia anche a regolare il commercio dell’olio, attraverso l'introduzione di tasse specifiche e diritti di uscita e il mercato sembra apprezzare ancora di più l'olio pugliese. Grazie ai veneziani e ai fiorentini, l'olio d'oliva pugliese arriva ad essere regolarmente commercializzato nei porti più importanti dell'epoca (Balducci Pegolotti 1347, De Leo 1940, Cherubini 1987).




 

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Classical authors

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CREDITI

 

Il progetto "ELAION: Storicità dell'olivo pugliese per un marchio di promozione territoriale" (N. di progetto 5ACSJG4) è un progetto finanziato dal programma della Regione Puglia a sostegno della specializzazione intelligente e della sostenibilità sociale ed ambientale intervento FIR - “Future In Research”, 2015-2018.

 

Il progetto è stato realizzato dalla Dott.ssa Valentina Caracuta in collaborazione con il Prof. Girolamo Fiorentino, direttore del Laboratorio di Archeobotanica e Paleoecoloogia del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento.

 

Contatti

AddressLaboratorio di Archeobotanica e Paleoecologia

Dipartimento di Beni Archeologici

Via Birago 64, 73100 Lecce

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